GEROSOLIMITANI
di Pisa versus ospedale di Osnello

Del periodo storico compreso nei secoli XII e XIII resta memorabile il tumultuoso sviluppo degli ordini religiosi che dal nulla o quasi ricevettero vocazioni, costruirono begli edifici, acquisirono patrimoni importanti e celebrarono suggestivi riti propri.
Gerosolimitani, francescani, domenicani, carmelitani, servi di Maria furono tra i più famosi.
Non mancarono in tanto rapido espandersi le controversie di forma o di sostanza sui beni o sui diritti, affrontate dalle case generalizie, dai vescovi o rimesse all’autorità papale.
Pisa non fece eccezione in questo.
Negli anni Trenta del Duecento in città esplose una vertenza tra i frati di San Giovanni dei gerosolimitani del Santo Sepolcro e i conversi di Santa Maria di Osnello di Agliana (Pistoia).
Questi ultimi avevano avuto origine nel 1162, per volontà di Osnello o Asnello Taviani converso di San Salvadore in Agna (Montale), e si erano diffusi rapidamente, tanto da annoverare verso la fine del secolo XII delle succursali, una delle quali era proprio a Pisa, legata ai gerosolimitani.
Nel 1218 il suo rettore era Bonmartino che aveva ottenuto una donazione di terra presso l’ospedale e nel 1228, al tempo di donna Morella rettrice, aveva rinunciato al privilegio del tribunale ecclesiastico per quello civile.
Bonmartino fu presente a Pisa anche nel 1235 quando Bartolomeo priore di San Pietro in Vincoli, con riferimento a delle lettere di Innocenzo III (1198-1216) all’epoca di Lotario arcivescovo (1208-1216), emise sentenza in contumacia circa l’obbedienza dovuta dagli oblati e oblate di Osnello (comprese le succursali) al priore gerosolimitano.
Infatti si stava affrontando allora una grossa questione, il cui seguito viene ricordato, purtroppo in modo incompleto, da altre pergamene che menzionano in aggiunta usi e nomi di personaggi del tempo.
Uno di questi, dell’ottobre 1231, fu “frater Gerinus” [Guerin Lebrun], “Dei gratia sancte domus hospitalis Ierosolimitani Ordinis humiliter et Pauperum Christi custos” – per grazia di Dio umilmente custode della casa dell’ospedale di Gerusalemme e dei Poveri di Cristo –, il quale nominò fra Marchisio, rettore dell’ospedale di San Sismondo, come procuratore di tutti i gerosolimitani per agire nelle cause presentate alla curia di Roma.
Appare nella carta anche la descrizione del suo sigillo plumbeo.
Mostrava da una parte un uomo inginocchiato davanti alla croce e intorno le lettere “+ fra Gerinus custos” e dall’altra il segno dell’ospedale, l’immagine di un uomo che giaceva, e intorno “+ hospitalis Jherusalem”.
Altro personaggio, che appare nel ricordo in un testo copiato verso la fine del 1234, fu il cardinale di Santa Maria in Cosmedin, cioè Ranieri Capocci, dimorante a San Pietro di Perugia.
Monaco cistercense, prelato di peso e “dotato di grandi capacità militari e di rigore morale”, fu noto anche per aver avuto relazioni con Leonardo Fibonacci di Pisa.
Di certo, nel caso della lite, fece copiare la carta per poter agire nel modo migliore possibile contro Conforto procuratore di Osnello.

Infatti negli anni successivi entrambi gli enti continuarono ad avere le loro contese.
Nel 1236 Bonmartino, Conforto e Ugolino notaio e sindaco dell’ospedale del Santo Sepolcro di Pisa si costituirono davanti al priore di San Paolo all’Orto per l’inquisizione da condurre con l’arcivescovo “super prohibitione quam quam prior et fratres Sancti Sepulcri PiS. dicitur fecisse rectori ecclesie Sancti Cristophori de Pise de recipiendis fratribus et sororibus dictis hospitalis Hosnelli morantibus in domo et obedientia ipsi hospitalis de Pisa ad divina [...]”.
Ovvero si riunirono per indagare sul divieto fatto a Ugo rettore di San Cristoforo di accogliere i frati e le suore di Osnello dimoranti nella casa dell’ospedale di Pisa.
Il riferimento era proprio la lettera dell’auditore del papa, il cardinale di Santa Maria in Cosmedin.
Questo perché i due enti condividevano dei beni ma avevano diversa natura: laica quella dei conversi di Osnello e religiosa ed ecclesiastica l’altra dei frati di Gerusalemme, il cui priore era superiore nell’obbedienza.

Pochi anni dopo della lite si interessò, su mandato di Gregorio IX, il cardinale vicario di Roma fra Giacomo da Pecoraria di Piacenza (ca 1170-1244), anch’egli cistercense, abate delle Tre Fontane, vescovo di Prenestina (Palestrina).
Entrò in scena nel 1238 dal Laterano con un: “Frate Iacobus miseratione divina Penestrinis episcopus dilecto in Cristo filii magist.
U(gone) rectori ecclesie Sancti Cristofori PiS. salute in Domino”.
E la lettera, diretta al maestro Ugo – nominato nunzio della corrispondenza papale –, proseguiva convocando i frati di San Giovanni a Roma con l’eccezione del priore che – si diceva – essere in Sardegna.


Ricevuta la missiva, i gerosolimitani si riunirono e fecero una procura.
È qui è interessante apprendere il loro numero, più di 30, e i loro nomi: il priore frate Stefano (assente) e i frati Giovanni Maria, Benintendi, Nicolaio, prete Pietro, Enrico, Redolfino, Marchisio, Omodeo, Randemorniano [così leggo], Simone, Ranerii, Bongiovanni, Gerardino, Ubaldino, Guglielmo, Lucio, Orlando, Raneri Solabelli, Sirinboni, Tedesco, Michele, prete Giovanni, prete Vivenzio, Riccobene, Bartolomeo, Cambio, Argumento, Manno, Bonaventura, prete Castellano e prete Martino.
Autorizzati da tale procura, frate Andrea da Foggia, maestro Pietro da Viterbo (assenti) e Giovanni del fu Randasio (presente) furono incaricati di recarsi con il rettore di Osnello a Roma dal cardinale di Palestrina e da vari giudici.
Ebbero licenza di abitare presso l’abbazia e monastero di Sant’Agostino e in altri edifici religiosi.
La ‘burocrazia’ però fu d’intralcio e le citazioni e le proroghe si moltiplicarono a causa della strettezza del tempo di comparizione imposto (viaggiare, anche per mare, era lungo e scomodo) o del fatto che frate Stefano era in Sardegna e non era stato convocato, anche se si doveva farlo.


Si giunse così al 1240 quando il procuratore pisano fu ricevuto in udienza pubblica dal cardinale di Sant’Angelo Riccardo Annibaldi († 1276). Qui la pergamena mostra una altra interessante curiosità: la cedola. Il notaio Pietro la scrisse con il seguente tenore (traduciamo dal latino): il cardinale Riccardo invita a comparire il procuratore dell’ospedale di San Giovanni dei Gerosolimitani di Pisa presso di lui e il suo chierico Landolfo per quanto aveva (di controversia) con l’0spedale di Osnello.
Sempre tramite Pietro “cedula lecta fuit ... coram omnibus in audientia publica astantibus et spetialiter coram hiis testibus rogatis” – la cedola fu letta alla presenza di tutti gli astanti in pubblica udienza e specialmente alla presenza di questi testimoni convocati ...
Seguono delle firme semi cancellate e illeggibili.

Paola Ircani Menichini, 23 aprile 2021.
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– Santa Ubaldesca e i malati, sullo sfondo il Santo Sepolcro di Pisa, SS. Trinità di Las Veguillas, Spagna, dal sito http://www.smom-za.org.

– L’atto del 1238 che contiene i nomi dei frati Gerosolimitani.

– Santa Maria di Spedalino Asnelli oggi, da Wikipedia.